Come
introdurre ora la periodica ricetta?
Beh!
Sono alquanto scafato nell’osservare e ricordare le cose del mio piccolo mondo
paesano, da non poter fare a meno di riportare una consuetudine quasi estinta
come la spaventata.
Il
pranzo della spaventata era uso
offrirlo allorquando si finiva di gettare l’ultimo solaio di una fràveca per
civile abitazione, allorquando si usava anche innalzare una patriottica bandiera
sulla copertura – a dimostrare il successo degli sforzi fatti dalla famiglia
che costruiva e, un po’, per sollevare l’invidia dei vicini ancora a casa a
pesòne.
Erano
le donne di casa a preparare quest’ abboffata anche se a parteciparvi erano i
soli uomini della famiglia e gli operai della squadra realizzatrice – ospite
riverito e ben servito il masto fràvecatore a capo di questa.
Così
in un clima dapprima di timidezza e poi, con il mescere del vino, sempre più
festoso e, per l’assenza delle femmène,
sempre più disinibito venivano servite varie rustiche portate tra le quali oltre
agli spaghetti, per cui la spaventata sarebbe la storpiatura di spaghettata,
erano spesso presenti le pettole e fagioli.
Come spesso accade quando si affronta la locale tipicità di un piatto – ma succede anche in altre applicazioni umane, soprattutto quando gli intenti classificatori sono così forti da far perdere di vista la portata di aspetti più particolari…n'est que spéculation intellectuelle, citoyen - quando si parla delle pettole come di un piatto tipico marcianisano (2) sfuggono le innumerevoli e svariate maniere di prepararlo, tipiche, questa volta sì, delle singole famiglie. La ragione di questa variabilità sta nell’essere le pettole un piatto in cui affluivano, a seconda della disponibilità stagionale o finanziaria, diversi ingredienti e diversi erano i modi di prepararlo.
A cominciare dalla scelta, o meglio disponibilità, dei fagioli: chi li vuole bianchi, chi rossi e chi entrambi - passando per l’aggiunta o meno del sugo di pomidoro, stabilendo che siano più gustose aggiungendo alla farina d’impasto della crusca… - avremo per ogni clan marcianisano una diversa composizione delle pettole.
Probabilmente non esiste nella tradizione mediterranea un piatto più ancestrale e vernacolare di questa pasta, semplice impasto di farina ed acqua mediamente essiccata e tagliata secondo striscie variamente larghe – le pappardelle ne sono la versione secca ed ingentilita.
Le
nonne delle nostre nonne, che non furono certo fini e metodiche sfogline emilianromagnole,
seppero fare della grossolana consistenza di questa sfoglia, spesso messa ad
essiccare sul piano dei loro altissimi lettoni, la base dei più svariati e
rustici e colesterolici condimenti.
Fingendo
di non preoccuparsi delle mine di colesterolo con cui bombardereste il vostro
corpo, la preparazione fondamentale, comune a tutte le pettole, è il soffritto
di base: un trionfo di grassi e carni suine che raggiunge l’apice con
l’aggiunta della salsiccia di polmone – essiccata e successivamente ammorbidita
dal sugo la ricordo una delizia – e della noglia (3). Entrambi quest’
insaccati, di carni di secondo e terzo taglio la prima e di budella ed intestini la seconda dal nome
misterioso, dimostrano che del porco non si getta nulla.
Il
peperoncino e della buona cipolla, a me piace accompagnarvi anche dei dadini di
carota e gambo di sedano ed un po’ d’aglio, sono gli altri ingredienti che
formano il soffritto al quale si aggiungeranno i fagioli scelti – se cotti
nella pignatta al fuoco del camino si trasmetteranno al piatto piacevoli
sentori di fumo – dei quali consiglio di passare al mixer una parte.
Saltate
le pettole nel sugo preparato, vi potrete aggiungere un po’ di sugo di pomodoro
e, lo consiglio fortemente, dei pomidori tagliuzzati che risulteranno appena
scottati allorquando impiatterete.
Il
vino consigliato? Beh! Stavolta lascio a voi la scelta ma, mi raccomando, non
lesinate sui tannini.
(2) il
piatto è tipico soprattutto del basso Lazio.
(3) con lo stesso nome è conosciuta, oltre che
nelle province campane, anche in Molise
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