martedì 28 gennaio 2014

vulvette


vulvette ( registered III-IV sec. d.c.)

se la cucina è anche invenzione, come tutte le invenzioni umane, non può non poggiarsi sul già dato, nel senso fisico di sperimentato.
si è vicino alla linguistica, insomma, dove si consolidano parole nuove fondandosi sul vernacolo o sul gergale.
nel caso di queste che ho battezzato vulvette è bastato applicare la tecnica degli strascinati, o quella analoga delle orecchiette pugliesi, sostituendo la materia di farina di grano duro di questi con l'impasto di patate, farina di grano tenero e pochissimo uovo, proprio degli gnocchi.

il risultato è stato una sorta di ricciolo bi-voluta, uno spessore più esiguo di quello dello gnocco che si avvolge intorno ad un canale vuoto, 'na vulva, 'nsomma.
è chiaro che a 'sto punto ti chiedi chi abbia già usato in cucina la parola vulvetta.
ed eccolo qui, in rete compare nientepocodimenoche Apicio con il suo de re coquinaria





http://www.hs-augsburg.de/~harsch/Chronologia/Lspost04/Apicius/api_re02.html


le chiama vulvulae isiciate (III, 1) e, sempre con l'aiuto della "retia", riesco a darle un forma, una materia: so' delle polpettelle, insaccate o meno, di farro grosso, l'antichissimo farro spelta.
una specie di haggis scozzese senza carni ma ricco di pinoli, mandorle, uva passa ed impastato con vino cotto. quest'impasto che apicio chiama apothermum (II, 10) devo immaginarlo modellato come delle polpette e cotte in un passato di verdure e spezie e dove non può mancare il liquamen o garum, salsa principe di questa cucina.

stavolta, almeno nella scelta del nome, mi son fondato su un illustre ma immangiabile precedente.
almeno il buon vecchio Apicio non mi chiederà i diritti d'autore.  




domenica 19 gennaio 2014

Domanda a Renzi







Recentemente, caro Matteo,  sei stato dalle nostre parti, in terra dei fuochi, e cosa hai trovato? hai trovato quello che pensavi di trovare: sostegno alla tua decisione di fare il segretario.
  Hai trovato il sempre opportuno appoggio di chi ha interessi in merito e quello sempre incondizionato del popolo del pd territoriale, quello del limpido dogmatismo di derivazione sia comunista che cattolicista (non cercarlo, non esiste, il termine, nemmeno sulla treccani).
  E' dell'appoggio incondizionato ai suoi capi che questo popolo ha che stai abusando allorquando presenti come piena sintonia quello che Silvio chiama accordo bello e buono.
  Un popolo abituato, come i bambini quando hanno il senso di colpa, a farsi invisibile ed attendere che il tempo cancelli la colpa.
  E' quello che è successo, che sta succedendo, mentre il popolo di Silvio esulta per la lucidatura del proprio capo.
  Mo, Matteo, tutto quello che vuoi sulle tue qualità e capacità di essere leader, tutto quello che vuoi sull'inesistenza di altri interlocutori che, con i loro numeri, accelerino le riforme, ma s'i proprio sicuro di essere più marpione 'e Silvio?

cia'
ste'

lunedì 13 gennaio 2014

martedì 7 gennaio 2014

nasone, lazzaroni e maccheroni



dopo la rivoluzione francese del 1789 il mondo non fu più lo stesso, la fine del settecento vide formarsi l'idea dello stato di diritto o liberale, di un sistema politico che negava ogni assolutismo - anche se sarà un assolutista a farsi carico di promuoverlo, conquistandosi così un impero.
da noi protagonisti dei prodomi di questo momento storico furono ferdinando I o IV di borbone; l'esercito rivoluzionario francese comandato, con napoleone in egitto, da championnet; i cosiddetti giacobini di napoli, società segrete rivoluzionarie composte da uomini della borghesia  media od  alta, repubblicani e liberali fautori di una costituzione ed il popolo napoletano sostenitore del re nasone.
è di quest'ultimo che voglio scrivere, di lui e dei suoi lazzari.
non si vuole certo essere nostalgici borbonici nè contemporanei fautori di una secessione italiana se si afferma che il re lazzarone sembrò essere abbastanza illuminato dal suo secolo tanto da spronare le arti e la cultura, da dotare il regno - ma qui i meriti furono più della consorte asburgica maria carolina e del suo gradito acton - di una flotta commerciale e militare che primeggiava in europa e da accompagnarsi spesso al popolo, ma meglio dire ai capipopolo, condividendo con essi, anche se scortato, il cibo di strada e la spensieratezza.
la cucina della  corte, di quella del padre e della sua reggia casertana, fu una cucina aristocratica ed elaborata di derivazione francese e spagnola, di pasticci di pesci e di carni e pasticci di carne e pesce, di sofisticate pasticcerie, come attesta ne "il cuoco galante" vincenzo corrado. 
questi, capo dei servizi di bocca della corte, nei suoi scritti tentò di integrare la cucina importata a quella territoriale, napoletana, trascurandone tuttavia le paste e la pizza. 
la stessa pizza, su cui era da poco approdato il pomodoro, che ferdinando invece sbocconcellava da 'ntuono e che avrebbe voluto portare tra i cibi di corte contro il parere dell'austriaca - resa felice questa, sembra, dalla pastiera, ma forse perché la sua ricetta era di origini conventuali e più destinata alla pasqua delle famiglie patrizie.

Ferdinando I° Re di Napoli  film del 1959 di Gianni Franciolini
è con ferdinando, grazie al suo spirito popolano, che l'alta cucina della corte borbonica, che aveva impressionato i viaggiatori del grand tour - aristocratici tenuti ospiti dai nobili napoletani che non vedevano l'ora di scambiare l'afflusso di idee e culture europee con un'opulenta ospitalità - assumerà una propria identità e genuinità, insieme all'introduzione delle tante paste e pizze, pur fuse con l'esuberanza della cucina barocca. 
l'idea della napoli da gozzovigliare per strada è ben espressa da un super viaggiatore dell'epoca. goethe, nella lettera del maggio 1787 del suo "viaggi in italia", annoterà: "non v'è stagione in cui non ci si veda circondati d'ogni parte da generi commestibili; il napoletano non solo ama mangiare, ma esige pure che la merce in vendita sia bellamente presentata".
la napoli di ferdinando è come se smettesse di introdurre sofisticherie francesi, delle corti europee - emblematica la diffusione del babà, ve la sintetizzo: metà settecento, il re polacco leczynski esiliato nella lorena francese bagna col rum un dolce tedesco, il  kugelhupf, che trova troppo asciutto. lo battezza "baba" come nonna in polacco, come il dolce della nonna. parigi, il suo massimo pâtissier  sthorer, lo adotta e da qui i monzù, mandati ad imparare la cucina cugina, con accento francese lo importano a napoli - come se adesso, napoli, volgesse lo sguardo su se stessa. 
adesso la pastiera, mitico dolce di partenope che accorpa il meglio del territorio: grano come ricchezza, uova come vita e ricotta di pecora come abbondanza, e la sfogliatella, dolce richiamo alle influenze arabe del regno, accompagneranno il babà.
è ora che si delinea la minestra maritata, si fa napoletano quel brodo con diversi tipi di carne di derivazione spagnola in cui si insaporiscono le verdure accompagnate da formaggio e, più nel contado,da uova.
sembra, e sottolineo sembra, non essere il cibo a mancare a napoli sul finire del settecento, anzi il comparire delle macchine per la produzione della pasta, le prime in verità saranno venete, renderà i maccheroni accessibili anche al popolo minuto. 
è la rivoluzione industriale, bellezza. 
essa, applicata al tesoro delle paste modellate a mano farà dei napoletani invece che dei mangiafoglie dei mangiamaccheroni, aumenterà il benessere e richiamerà sempre più spesso in città quegli sfaccendati dei lazzaroni,  finora girovaganti per campagne e fratte alla ricerca di espedienti e cibo.

Saverio Della Gatta, 1800,
 “La ‎distruzione dell'albero della libertà a Largo di Palazzo”
sono questi, i cui capi venivano ricevuti anche a corte, con le pance piene di pasta, pizze e vino, magari offerti da ferdinando durante le sue scappatelle dal palazzo, che ricambieranno con  un tributo di sangue sia durante la conquista francese dal mare, quando verranno bersagliati alle spalle da castel sant'elmo dai loro concittadini un po' più borghesi, e sia quando seguiranno i sanfedisti di ruffo, riconquistatore del regno a sud grazie anche a fra diavolo, mammone ed altri, per cacciare i repubblicani ormai orfani dei francesi.
è alle pancia di questi, e del popolino, che i giacobini non riescono a parlare, è a questi, inebriati di pasta, vino e simpatia paternalistica di ferdinando, che i liberali non riescono a trasmettere gli ideali di uguaglianza, libertà e fraternità che si andavano radicando anche in italia.
d'altronde non si può dire che sia stata una mancanza di coscienza libertaria quella del popolo napoletano di fine settecento se anche un "intellettuale" viaggiatore come goethe scrisse tra il 1786 ed il 1788 del suo soggiorno a napoli:
"Vi sono parecchie feste dell'anno, soprattutto quelle di Natale, che sono rinomate come giorni di banchetto. Tutta Napoli diventa allora un paese di cuccagna per la quale pare che 500 mila uomini si siano messi d'accordo. La via Toledo, e diverse piazze vicine, sono ornate nella maniera più appetitosa. Le botteghe ove si vendono le erbe e dove si mettono in mostra meloni, uva passa e fichi, sono davvero rallegranti. I commestibili sono sospesi in ghirlande sulle strade: si vedono delle grandi corone di salsicce derrate e legate con nastri rossi, e i tacchini portano tutti sul sedere una banderuola rossa. Assicuravano che se n' erano venduti 30.000, senza contare quelli ingrassati particolarmente nelle case. Inoltre un gran numero di asini carichi di erbaggi, di capponi, di capretti percorrono la città e il mercato, e i mucchi di uova che si vedono qua e la formano una massa che non si saprebbe immaginare così grande. 
E non basta che tutto questo sia divorato: ogni anno un ufficiale di polizia percorre la città a cavallo, accompagnato da un trombettiere, e annunzia in tutte le piazze e i crocchi, quante migliaia di buoi, di vitelli, di capretti, di agnelli, di maiali i napoletani hanno consumato. Il popolo presta orecchio e si rallegra smodatamente su quei grossi numeri: ognuno si ricorda, con soddisfazione, la parte che ha avuto in tale godimento.
In quanto ai piatti che i nostri cuochi sanno preparare sotto tante forme, essi sono doppiamente rimpiazzati presso questo popolo che in simili cose non ama i lunghi apparecchi e che non ha una cucina ben determinata. I maccheroni d'ogni specie (pasta di farina delicata, fine, molto lavorata, cotta e ridotta in talune forme) si trovano dovunque ed a prezzo mite. Essi vengono, in gran parte, cotti nell'acqua; e il formaggio grattugiato serve e come grasso e come condimento.
Agli angoli delle grandi strade stanno, con le loro padelle piene di olio bollente, i friggitori, occupati soprattutto nei giorni di festa, a cuocere immediatamente, secondo il desiderio di ciascuno, dei pesci o delle frittelle. Questa gente ha uno spaccio incredibile di tale merce e migliaia di avventori si portano il loro pasto di mezzogiorno e della sera in un piccolo foglio di carta".
e la dicotomia tra pancia e libertà viene fuori dall'interpretazione tragicomica di un pulcinella d'eccezione ma contraddittorio nelle sue vesti giacobine:
http://www.youtube.com/watch?v=OVGlTY6skiA