domenica 3 maggio 2020

#hotopìa misteri della toponomastica

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#amho #hotopìa

colle', de particella: de' felice. fece il carabiniere all'altro che scriveva l'indirizzo sulla multa a gino buonanima. 

per papà buonanima era invece quell'oriundo de felice vescovo durante la rivoluzione napoletana del 1799 e teorico di un catechismo conservatore per cui il popolo deve «obbedire ai preposti pur se discoli».*
nessuno delle due ipotesi: la strada si chiama felice. via felice, forse perché adduceva al cimitero, una strada per la felicità dell'aldilà, una sorta di campi elisi. e come i campi elisi erano destinati ai preferiti degli dei, così qui, fin a due secoli fa, la preferenza era dettata da condizioni di soldi e di censo. 

tragitti differenti per esequie differenti: via felice per le carrozze a più tiri dei possidenti latifondisti o dell'alta borghesia, via gemma per il carro dei popolani o la carretta dei pezzenti.  via felice diventerà via de felice per la semplice trasposizione in italiano del toponimo 'int' 'e felice, come ancora mo è detto tutto il quartiere che gravita su questa strada. via de felice come spesso si trova sugli indirizzi delle famiglie e delle attività private e pubbliche come la scuola media o l'ex tribunale.

si è detto di via gemma, via che fuoriesce dallo schema a scacchiera proprio della città e che, con la sua prosecuzione in viale della pace, assume un andamento diagonale e serpentino a ricordare un corso d'acqua con molta probabilità di fogna. ciò risolverebbe un altro mistero toponomastico: il quartiere tagliato da questa via è detto 'int' 'a cantera.

il kantharos fu coppa e vaso greco e, passando per il latino canthărus, divenne 'o cantero, il pitale napoletano. con buona probabilità nel canale fognario si svuotavano quindi i cantari.  

in rete si può trovare l'aneddoto sul perché il cantaro è detto anche zi' peppe. quello sui tragitti differenti delle esequie lo racconto io di seguito, anche perché è una bella storia di ribellione.

ci stava all'epoca un padre di figli, un falegname, non un ebanista intagliatore che ancora ancora ma un falegname di quelli che facevano mobilia povera per i poveri, nu piallatore. quando, perché il cane morde sempre quello più stracciato, una disgrazia gli portò via il più giovane dei figli, volle che il feretro seguisse la via dei signori per il cimitero. lo volle con cocciutaggine e per diritto di eguaglianza. lo volle perché aveva conosciuto le idee di mimì santoro e perché cristo questo aveva predicato. raggranellò tutti i risparmi della famiglia ed anche contro la volontà della moglie, vera artefice di questi, si dichiarò disposto a fare fronte al maggior costo della carrozza col minimo tiro. 

fu un vero funerale rivoluzionario, la gente stentava a crederci che fosse possibile fare quello che facevano i ricchi e quelli d'un certo rango. in verità ci fu anche chi tra il popolo criticò la cosa -ha voluto fa' vede', ma chi se crere 'e essere? secondo me ha sbagliato. se puteva magna' chilli sorde. insomma quell'invidia tutta popolare, nun ce pensamme ca è meglio. 

il falegname però non aveva tenuto di conto della chiesa e dei suoi usi e si sentì più volte sollecitato a versare un obolo maggiore di quello già versato: la messa ufficiata non era certo stata da pompa magna ma il feretro aveva seguito il felice tragitto dei morti benestanti. 

quando il sacrestano venne di nuovo a chiedergli una offerta congrua al servizio avuto e che non sminuisse la sua faccia di fronte al signor iddio, il buon padre rispose: ditegli a dio di rimandarmelo indietro 'o figlio mio.







sabato 2 maggio 2020

#hotopìa centrale termoelettrica di via carbone

#amho #perspective #hotopìa

se la aveste vista in altri luoghi non avreste potuto non ammirarla. questa ghiacciaia di prima dell'elettricità, questa rara archeologia industriale la potete vedete tutti i giorni in quel di puzzaniello.  prima o poi qualcuno la farà andare giù per meri motivi speculativi sull'area di sedime e resterete zitti, muti, abituati come siete a farvi cancellare la storia, a strafottervene della fatica dei vostri avi. d'altronde lo si è visto con gli antichi palazzi gentilizi e con le corti rurali e lo si vede dalle condizioni delle terre su cui iettarono o sanghe quelli che le bonificarono.
i vincoli, le norme della pianificazione creano abusi e sotterfugi, il rispetto ambientale e del costruito deriva da una vera consapevolezza storica della propria comunità. su questo, fatemelo dire, stamme 'nguaiate.

domenica 19 aprile 2020

#quandto #zo

video
#amho #hotelling #homemory

per rendere ancor di più il concetto del quandto si deve pensare all'appena. se congiunzione (appena conosciuto) ci dà il tempo in quantità, se avverbio (conosciuto appena) ci dà la qualità, il valore.
ma scrivo di questo per appuntarmelo, volevo invece narrare di quandto mi son inselvatichito: è stato il contatto, la vita con gli animali di cui son stato circondato fin da piccolo. ma in particolare a farmi uscire dalla domestichezza del rapporto con essi fu zorro. 
zorro, un epagneul breton, un cane da caccia che, agli inizi dei novanta, mio fratello pasquale portò a casa, già adulto.
fino a qualche anno prima, ma max un decennio o poco più, per affrontare il problema del randagismo c'era il servizio ultraumano dell'accalappiacani, ma non pensatelo come è mo! no no: il cane ingabbiato se non veniva riconosciuto e recuperato dal suo uomo finiva soppresso! sì sì. nei forni. 
qui da noi questi forni stavano al macello comunale, forse perché servivano a cremare i resti della macellazione e taglio delle carcasse bovine, lì finivano i cani catturati- ho sempre sperato non vivi.
quel che sia o non sia, quella struttura negli anni di cui racconto era stata chiusa- meglio: sostituita da una nuova che è stata poi deposito di veicoli per la nettezza urbana ed ora abbandonata- e ne venivano utilizzati i soli uffici. per farla breve, qui si trovava pasquale con la sua cooperativa sociale e qui uno portò sto cagnone di zorro convinto ancora ci fosse il canile. 
già il fatto che zorro- "le mie nipoti lo hanno chiamato così per le macchie come maschera sugli occhi"- venisse abbandonato perché- "s'ha mangiato na conca 'e sasicce che avevamo appena fatto", avrebbe dovuto farci pensare a che spirito libertario stavamo per fare entrare in casa, na capa tosta, un autentico picaro, uno che non si sarebbe mai accasato: e così è stato, tanto da scomparire dopo anni senza lasciare alcuna traccia. 
tranne quella nell'animo e nei ricordi di tutte le corse in campagna, del suo scappare per fare i tuffi nella fontana di piazza umberto o ovunque vedesse uno specchio d'acqua, degli inseguimenti di qualsiasi cosa volasse o del penetrare del suo tartufo ogni anfratto puzzolente, dei suoi repentini infilamenti nelle macchine altrui per la sua smodata e perenne voglia di uscire.
ricordo di quella volta che all'incrocio di via greco, dove c'era jamel col suo banchetto di sigarette di contrabbando e con le mie camel, quando s'infilò in una volante della polizia che vi stava facendo un posto di blocco- cazz! le facce degli agenti!
sì, è stato zo' ad insegnarmi di quandto si sta meglio con gli animali, poi ho proseguito da solo... cioè sempre con loro.

nei pochi fotogrammi del video si vede zika, una cavalla anglo araba di cui ricorderò qualche altra volta.

sabato 28 marzo 2020

ciccilluzzo

#amho #hotelling #homemory #ritrattipostumi

ciccilluccio
pochi conoscevano il suo vero nome, sicuro fu battezzato francesco, da cui ciccilluccio come era chiamato da tutti allorquando tutti lo conobbero come l'ubriacone senza dimora che vagava per il paese.
un diminutivo di un diminutivo di un vezzeggiativo, quasi ad indicarne la pochezza, l'infima vita. ma francesco non era uomo di poco, sapeva farsi valere, ciccio, con una violenza interiore che - ciccillo sbronzo - esternava come ciccilluccio.
lo potevi incontrare dappertutto ciccilluccio, mai sobrio, come non è mai sobrio un alcolizzato a cui bastano due dita di vino per ravvivare la sbornia.
gli bastava elemosinarne in qualche cantina, o, minacciando di dare fastidio, ottenendo una peroni fuori qualche bar.
pochi uomini ho conosciuto capaci di essere ubriachi tutte le sacrosante ore di veglia, fino allo stremo che ti porta al collasso del sonno, sempre, tutti i cazzi di giorni. uomini capaci di racimolare alcol anche dal nulla, solo torcendolo, il nulla.
uno di questi, anzi due perché erano una coppia di polacchi, ma per loro era diverso, tempi altri e recenti, racimolavano qualcosa di soldi pulendo parabrezza ai semafori e poi la investivano in tavernello al vicinissimo supermercato. ma ripeto tempi recenti, ciccilluccio non stava mai in uno stesso posto e sfilava l'alcol che non riuscivi a capire come. un mago.
la sua aggressività era un modo di difendersi, un modo per dire a quegli ipocriti dei suoi paesani di lasciarlo perdere, di voler star solo, ubriaco perso a gironzolare con la sua gamba matta.
cavallo a si ce a fai cchesta sagliuta!? cantava a squarciagola tirandosela dietro, rigida e deforme come un tocco di legno la spingeva in avanti in risposta al canto, ce la puo' ffa', ce la puo' ffa'.
a sera crollava, ovunque fosse crollava in un angolo, un canto fra marciapiede e palazzo, tra secchione di spazzatura e lampione, bastava crollare e via, verso uno scomposto sonno intenso, fino alla ripresa di una nuova cavalcata.
fu la gamba a tradirlo, cancrena. per assenza di profilassi in seguito a ferite o per sopraggiunto diabete, o le due cose insieme, cancrena.
lo ricoverarono anche, qualcosa volevano fare, qualcuno voleva aiutarlo. ma come si poteva trattenere francesco? chi avrebbe affrontato gli sputi di ciccio, chi retto alle spinte di ciccillo? 
nessuno poteva fermare ciccilluccio e la sua rabbia.
ti auguro di aver trovato un tuo dio, francesco.